Tra un Batman ed un'Indiana Jones non può che destare simpatia qualcuno che si confronta uno dei più vecchi temi dell'umanità, quello della trasmissione della conoscenza.Esortando, in nome del concetto del "carpe diem", i propri allievi ad affrontare di petto la realtà (in una fine degli anni 50 che già sembra presagire l'eco dei movimenti del decennio successivo...) un insegnante entrato di recente nel solito collegio tradizionale ed ottuso, infonde ai giovani non solo l'amore per Whitman o Byron. Ma l'idea di come questo amore possa trasformarsi in un'arma eversiva. Ovvio che tutto ciò sia lungi dall'incantare i colleghi incartapecoriti: poiché se l'anticonformismo comunicativo dell'ispiratissimo Robin Williams (GOOD MORNING VIETNAM) è un viaggio che conduce alla spiritualità, non è però esclusivamente uno di quegli itinerari da relegare bonariamente nell'astrazione. Piuttosto, un apprendistato al coraggio delle proprie opinioni; alla forza che nasce dalla volontà di affrontare la realtà a viso aperto, E che finirà per armare i migliori dei suoi allievi; dal più timido, che riuscirà nel suo primo amore apparentemente impossibile, al più sensibile, che si affermerà sulla strada del teatro, malgrado la violenta, persino tragica negazione dei genitori.
Ispirato, lucido e commosso il film funziona perfettamente nella semiseria descrizione dei sistemi poco ortodossi del maestro; o quando l'autore (come in WITNESS) testimonia con attenzione dell'ambiente, senza mai cadere nel macchiettismo goliardico. È un film, questo ATTIMO FUGGENTE tradotto beceramente da un titolo originale assai più stimolante che si traduce in un atto di fede evidente da parte di chi l'ha fatto, ed al quale è quasi impossibile non aderire. Ma forse, da qualcuno come Weir, vorremmo ancora di più di un semplice coinvolgimento emotivo: dov'è finita, infatti (sembra suggerirci la sequenza degli adolescenti-folletti che dilagano nella campagna oscura, alla ricerca della grotta tipicamente weiriana nella quale declamare le poesie) l'arte del mistero dell'autore di PICNIC AT HANGING ROCK? Quel suo modo raffinato di ripeterci, un po' come Boorman, che la fuga nella natura e nel soprannaturale è privilegio di chi detiene il segreto della purezza? Come sembra accadere sempre più di frequente, questi australiani sembrano perdere parte del loro sapore, e del loro umore cosi istintivo, mentre sbarcano nel sistema efficace ed utilitaristico del cinema USA.
Cosi, encomiabilmente impegnata, stilisticamente raffinata, ma un po' faticosamente tesa alla ricerca dell'irrazionale e del mistico, poeticamente mai trascendentale, la seconda parte del film finisce col ricalcare gli schemi di quella tradizione che si dedica a stigmatizzare: la reazione del sistema, la solidarietà (tardiva) dei giovani, la partenza commovente dell'insegnante. Il pubblico si terge più di una lacrima. Perché no; ma sembra un po' di esser ricascati in un film di Spencer Tracy.